Fernanda Mussinelli il 7 maggio festeggia il suo compleanno. Corti capelli argentati mossi da ondine leggere incorniciano il viso affusolato dalla pelle chiara e delicata. La collana di un tenue color smeraldo si riflette nel colore cangiante dei suoi occhi. Non si direbbero trascorse 91 primavere. Questa donna socievole e dolce emana una gaia energia. Dice che ogni tanto le scorrono nella mente immagini ancora vive del suo vissuto. Allora prende la penna e fissa sul foglio i momenti più coinvolgenti, illuminati da una conquistata serenità interiore, indispensabile per riconoscere il valore autentico della felicità.
A due anni e mezzo è colpita da poliomielite alla gamba destra, chiamata al tempo paralisi infantile. Allora le prime cure erano interventi chirurgici seguiti da ingessature.

A 84 scrive: La mela del soldatino
Era il 1944 e sono stata ricoverata all’ Ospedale dei Bambini di Brescia per subire il quinto intervento. Ero di casa in questo ospedale, però ogni volta era una sofferenza enorme. Arriva il giorno dell’operazione, in sala operatoria i medici mi dicono di stendermi per la mascherina con l’etere (anestesia di allora). Avevo confidenza con i dottori, tutti molto bravi con noi bambini.
Io insisto a stare seduta e dico loro: mi sdraio solo se mi giurate che dopo non porterò più le scarpine ortopediche. Il giuramento avviene, ma naturalmente non mantenuto.


Dopo i soliti giorni di ospedale con una grande sofferenza e una forte ingessatura, vengo dimessa.
La mamma viene a prendermi ed in braccio andiamo verso la stazione ferroviaria. Ero pesante e ricordo che la mamma ad ogni panchina mi appoggiava per terra e si riposava.
Arrivate finalmente alla stazione entriamo nella sala d’aspetto già gremita di gente. Sono le 14 circa. Dagli altoparlanti avvisano che il treno avrà un ritardo di 60 minuti, poi di 120, finché si fa buio. Non c’era illuminazione per i bombardamenti.
La mamma mi diede un panino con la marmellata. Dopo quella merendina mi venne molta sete e continuavo a chiedere alla mamma dell’acqua.
Seduto vicino a noi c’era un soldatino e sentendo la mia insistenza ha aperto la sua valigetta di fibra, ha preso una mela e me l’ha data, forse aveva solo quella. Quel gesto non l’ho mai dimenticato. E’ stato un grande gesto. Dove sei soldatino caro, in quale posto d’ Italia? Forse sei in paradiso fra gli Angeli. Dovunque tu sia ti dico ancora Grazie. Fernanda

La Prima Comunione
A sette anni il giorno della Prima Comunione, ho indossato la veste bianca. Ero orgogliosa di indossare quella veste passata a me, cucita da una mia cugina sarta e già indossata da sua sorella, più grande di due anni. Siamo andati dal fotografo per una bella foto ricordo. Avevo l’ingessatura. Genuflessa sull’ inginocchiatoio, il bel vestito mi copriva le gambe.

Al mare
Ci andavo con le suore Ancelle. Giocavo con i miei compagni, sotto l’ombrellone. Mi toglievo l’apparecchio ortopedico tutore e anch’io partecipavo. Tutti seduti in cerchio, ci passavamo uno zoccolo e bisognava seguire il ritmo delle tiritela sempre più veloce: Ciapa al tram balurda ciapel te che me so surda… Tric e trac lasel andà…Tric e trac lasem andà. Chi non riusciva a seguire il ritmo e perdeva lo zoccolo veniva eliminato. Mi divertivo davvero. Ero una di loro.
Una suora, dopo avermi scrutata con insistenza: – Come sei ridotta male, ragazza! Cosa credi, di venire al mare per guarire? Non guarirai mai. Non sono state parole di incoraggiamento, ma a suo dispetto hanno alimentato il mio coraggio. Saltavo anche con la corda, su un piede solo, l’altra gamba la lasciavo andare, come morta. E i dottori si chiedevano come riuscissi se anche l’altra gamba sembrava un poco essere stata colpita.
Mia madre, anni dopo: – Ma come facevi a dirmi che ti sentivi felice? Lei non ci credeva, eppure era così. Dopo i lunghi ricoveri io sapevo davvero cosa significava essere felici. Tornare a casa, riprendere anche se a fatica le abitudini di tutti i giorni, vedere le amiche, i compagni, per me era ritornare a vivere. Mi portava in giro per santuari: – Fernanda prega il Signore tanto buono che ti faccia guarire. La mia risposta era secca: – Mamma, tu invece potresti dirmi di chiedere al Signore di aiutarmi ad accettare la mia malattia. Non è stato facile, anche contro questa sua convinzione dovevo combattere. Eppure credo non mi avesse mai visto imbronciata.

A scuola ero brava
Dopo le elementari in Rocca, mi sono iscritta all’Avviamento professionale indirizzo commerciale. La mamma non voleva lasciarmi andare alle gite scolastiche. Invece io volevo stare con i miei amici. Il Direttore: – Tu Fernanda in gita ci verrai. Signora, non si preoccupi, pensiamo noi a tutto. E anche il professore di matematica mi ha sempre sostenuto.
Quando ci spostavamo sul camion, io appoggiavo bene la schiena alle panchette, così stavo più comoda. Indimenticabile la gita al lago. Salita sulla funicolare dalla stazione sulla riva del lago di Como fino a Brunate, sentivo brividi scorrere in tutto il corpo. Lassù, la bella vista sull’arco alpino mi toglieva il respiro. Il paesaggio incantevole insieme ai miei compagni sembrava ancora più magico.

A Pietra Ligure
Come si usava, avevamo chiamato il fotografo per una foto ricordo dei miei vent’anni. In testa un cappello di paglia a tesa larga, l’ombrellino parasole chiuso appoggiato a un fianco e l’ampia gonna blu a ruota a coprirmi le gambe.

Una lettera alla nipote Marianna, 2006
In via Cavalli la nostra casa
Carissima Marianna
abitavamo in via Ferdinando Cavalli al n.22. L’appartamento -se così si può dire- era composto da una cucina e una camera da letto piuttosto ampie, molto soleggiate, più uno stanzino come ripostiglio nel quale c’era un lavello di pietra, senz’acqua. L’acqua dovevamo attingerla in piazzetta. Eravamo in sei: i nonni, la zia Anna, io, lo zio Bruno e il tuo papà Aldo. Avevamo però un ampio solaio dove i nonni allevavano qualche gallina e conigli.
In casa nostra mai un Natale senza presepe
In casa nostra non è mai trascorso un Natale senza presepe. La nonna Elisa aveva iniziato quando ero piccola a regalarci a Santa Lucia, per primi capanna, Maria, Giuseppe e Gesù Bambino poi ogni anno qualche pastorello, pecorelle, casette ed infine i Re Magi. Il nonno Gino andava a raccogliere in campagna il muschio, era bellissimo, sembrava un velluto. Preparava poi tanti pezzi di legna e dava inizio alla preparazione. Questo si faceva alla Vigilia di Natale.
Si andava alla fontana a prendere l’acqua per il bagno
Al pomeriggio, la nonna Elisa dopo aver preparato il pranzo molto modesto, per il giorno di Natale, si apprestava a scaldare l’acqua per il bagno a tutti. Con l’aiuto della zia Anna era un continuo andare a prender acqua. Il bagno si faceva in una vaschetta, naturalmente, la stanza veniva allagata. Quando poi era il turno del tuo papà, ti lascio immaginare!!!

Iniziavano i preparativi per il presepe
Intanto il nonno preparava una specie di impalcatura per il presepe, la sistemazione finale delle statuette era compito della zia Anna. In cucina aumentava la confusione, a me dava molto fastidio.
Avrò avuto 15 anni, il tuo papà tre o quattro. Il mio compito era di farlo giocare per tenerlo tranquillo e dopo cena è stato messo a letto. La zia Anna e la nonna solo così potevano cominciare a riordinare.
Il presepe era posto a 20cm da terra e occupava tutta una finestra della cucina e veniva illuminato con un solo cero. Ti assicuro che l’ho sempre presente.
Quell’anno anche un alberello
La zia Anna si era fatta regalare un ramo di pino per fare un alberello. Io avevo comperato qualche palloncino e un filo d’argento.
Il mio entusiasmo era per la messa di mezzanotte. Allora in Parrocchia potevano andare solo uomini e ragazzi (ciò che hanno fatto il nonno e lo zio Bruno) mentre io e la zia Faustina, sorella del nonno Gino, ci siamo recate al Collegio Rota allora dei Salesiani, con un invito che si ritirava qualche giorno prima.
La chiesa era gremita, venivano celebrate tre messe. Non mi annoiavo poiché c’era un’atmosfera bellissima e un sacerdote che cantava accompagnandosi al pianoforte. Tornavo a casa felice. E quanti Natali siamo usciti dalla chiesa con neve e ghiaccio.
Arrivate a casa erano quasi le due di notte. Come ho acceso la luce in cucina, la mia meraviglia è stata immensa. Il presepe era ultimato, molto bello, tutto era in ordine: sul tavolo un bel tappeto e su una specie di cassapanca un alberello che la zia Anna ha saputo sistemare benissimo.

Mi sono fermata ad ammirare la mia casa, per me una reggia. Non immaginavo un Natale migliore. I vetri si stavano coprendo di gelo, ma il calore del Santo Natale era lì. Tutto questo grazie alla zia Anna, ai tuoi nonni che instancabili hanno sempre dato alla nostra povertà una grande dignità. Zia Fernanda, 2006
Una lettera per ricordare il Dottor Sabin


Volevo rendermi indipendente
Ho imparato presto a lavorare a maglia e all’uncinetto. Lavoravo su commissione per i negozi Bonotti. Confezionavo golfini, cuffiette, completini da neonato su misura. I clienti apprezzavano i miei punti regolari, la perfetta fattura dei capi realizzati. Per garantire la puntualità della consegna lavoravo fino a mezzanotte.
Nel pomeriggio, la casa si animava di bambini delle elementari. Li aiutavo a fare i compiti, come un doposcuola. Per anni ho lavorato da Legori alle casse, compilavo fatture, lettere commerciali. Nella ditta di fibbie e cinture da Cinquini, per quindici anni ero centralinista.

assorta nel suo lavoro
E quando si osava parlare di matrimonio…
Mia mamma: – Cosa ti salta in mente? No no Fernanda, tu resterai qui a casa con me.
Forse lo diceva per la mia situazione. E mio papà: – Vedrai che si sposerà! E così è stato.
Un colpo di fulmine durato quarant’anni
Ho conosciuto Luigi nel 1981 in Liguria durante il Capodanno. Io 47 anni, lui 52. L’anno dopo eravamo già sposati. Prima ho preferito affidarmi al parere di don Armando Nolli: – Se è una brava persona, è Bene sposarsi. L’ho ascoltato e aveva ragione. Il giorno del mio primo matrimonio, mia madre era triste, forse per il rito civile. Luigi era separato e la cerimonia religiosa non era concessa.
Rinviato il secondo matrimonio nella Chiesa delle Grazie a Brescia
Volevamo coronare il nostro sogno con il rito religioso. Il giorno del matrimonio ricordato a distanza, sembra quasi un momento comico, invece è stato davvero drammatico. La mattina del matrimonio, Luigi ha un malore. Chiamo l’ambulanza. Arrivano subito e mi dicono: – E’ messo male bisogna ricoverarlo. Presenta anche uno stato confusionale, dice che si stava preparando perché proprio stamattina deve andare in Chiesa a sposarsi! I soccorritori non lo sapevano, ma era proprio vero. Sembrava tutto surreale. Abbiamo dovuto rinviare. Tutti dell’Unitalsi si sono dati da fare per avvisare gli invitati, molti venivano da lontano, il prete, la cerimonia, il ristorante, immaginate voi. Fortunatamente, superata la crisi, sempre grazie alle persone che ci sono state vicine e agli amici, a 90 e 84 abbiamo realizzato il nostro sogno nella chiesa della Madonna delle Grazie a Brescia. Era il 26 marzo 2019.

26 marzo 2019

Lavoro ancora ai ferri e all’uncinetto, la mia passione.
Il 29 febbraio 2024, Luigi se ne è andato. Eravamo entrambi negli ultimi tempi ospiti alla Residenza di Viale Cadeo. Nella mia stanza privata ho la sua fotografia. Quando rientro alla sera, se mi sono trattenuta con qualche amica, mi avvicino e gli parlo: – Scusa Luigi ho fatto tardi. Ma lo sai, non è una novità. Lui dalla cornice mi guarda. Il suo sorriso comprensivo nascosto sotto i baffi sembra annuire.

Sul davanzale è fiorita la primavera, margherite e ciclamini. Le violette africane le sto curando per farle rifiorire. Dalla finestra al piano elevato ho una vista privilegiata sulla mia via Cavalli. A fianco della cupola dei San Faustino e Giovita, vedo alta la torre di Chiari con gli orologi dai colori diversi ogni Quadra. Ascolto il concerto delle undici campane parrocchiali. I rintocchi scanditi ogni quarto di ora e a ogni inizio messa accompagnano la mia quotidianità.