Ancora oggi, scolare e scolari ormai adulti si ricordano di lei: la Maestra Pucci, una Maestra con la M maiuscola. Una Maestra degli anni Sessanta. Conosciuta con il cognome del marito, dalla metà degli anni Settanta per legge firmerà le pagelle e altri documenti per esteso, riportando anche il proprio cognome: Maria Teresa Pucci Rotondi.
Animata da passione autentica per il proprio lavoro, dalle parole del suo racconto traspare una dedizione costante e generosa.
Gli inizi in una Scuola popolare
Subito dopo il diploma di maestra, nel ’60 ho insegnato in una Scuola popolare serale, nella vecchia scuola in via Giulio Venzi, a Cave.
Io appena diciottenne dovevo insegnare agli adulti. Erano solo sette o otto, tutti maschi. Spesso mi sentivo a disagio. Venivano dal borgo vecchio. Forse per la guerra sono stati costretti a interrompere la frequenza, oppure le famiglie avranno avuto bisogno del loro aiuto. Dopo anni, desideravano conseguire la licenza elementare, per accedere all’avviamento professionale o per qualche mansione ambita, in particolare nelle ferrovie dello Stato.

Nel libro Tante letture, adottato anni dopo nella scuola di Genazzano, ho trovato una curiosa poesia che parla proprio di una scuola per adulti.

Anch’io mi rivedo sui banchi di scuola
Quando parlo della scuola, ritorno bambina e affiora un bel ricordo della mia maestra di quarta elementare, la maestra Zanelli, una profuga istriana. Un anno è rimasta a Cave. Ho conservato con cura i quaderni. Ci faceva disegnare l’Italia seguendone i quadretti. Sotto Trieste, la penisola d’ Istria e poi un segno per individuare Zara, perché lei veniva da là.


Il sussidiario e il libro di lettura con il nome della mia maestra sono un ricordo affettuoso. Si compravano usati i libri. Tempo dopo li ho fatti rilegare per conservarli, ma il lavoro non è stato fatto con cura, così mancano alcune pagine, altre sono inserite senza rispettare l’ordine. Ogni tanto mi capita ancora di sfogliarli.

A scuola con la Topolino
Sono orfana di guerra, per le supplenze era prevista la riserva dei posti. Così sono iniziate presto le prime esperienze, come a Santa Cristina. Un posto di pastori, con la scuola di legno e una ruota per tirare l’acqua. Ogni tanto giravano pure i topi! Mi accompagnava mio marito Paolo in Lambretta o con la Topolino, ma il ritorno spesso me lo dovevo fare a piedi, fino al bivio dove c’è una chiesetta.

(illustrazioni a cura di Anna Maria D’Attilia)
Altre colleghe arrivavano col treno della linea Roma-Fiuggi, scendevano a Valmontone e poi con un pulmino chiamato la barcaccia, fino a scuola. Le aule erano freddissime. Per riscaldarle, ognuno portava da casa un pezzo di legna da far ardere nella stufa d’argilla, alcuni un barattolino di latta con dentro la brace.

( Aldo D’Attilia, archivio privato )
Della scuola al Murello, con pochi alunni, forse è il ricordo più triste. Una scuola di campagna, al piano terra, molto cupa. Si trovava vicino alla stazione di Olevano e alle stufe di tufo per l’essicazione del tabacco, lungo un viale con filari di gelsi bianchi.

La scuola iniziava il primo di ottobre
L’incarico dal Provveditore a Roiate nel ’62 durò solo da febbraio a maggio perché andai in astensione dal lavoro per gestazione e puerperio. Nacque Elena e alla scuola Giuseppe Garibaldi di Genazzano , qualche anno dopo, sarà dalla terza elementare una mia alunna, insieme alle altre scolarette. Insomma, sono stata anche una maestra-mamma. Avere la propria figlia in classe è stata dura, sia per me sia per lei. Cercavo di fare del mio meglio, trattarla come le altre. Elena era amica di tutte e a casa i compiti se li faceva da sola. Le ho trasmesso la passione: anche lei ha scelto di diventare insegnante. Lavora alla scuola Gianni Rodari di Cave, dove anch’io ho prestato servizio. Antonella, la mia seconda figlia, non è stata mia alunna, ma ha trascorso la sua infanzia con alcune delle mie scolare. In particolare con Nadia Andreani perché abitava vicino a noi, a Genazzano.

Dopo dieci anni di supplenze, con concorso speciale ho ottenuto il ruolo. Per avere il trasferimento, si doveva prestare servizio nelle frazioni. A San Bartolomeo ho insegnato in una pluriclasse mista. Era il ’78, me lo ricordo bene, l’anno dell’ attentato a Aldo Moro. Le finestre della scuola davano sul bosco di castagni. Ricordo la bidella Brunella secca come un chiodo nonostante si mangiasse ogni mattina un pane imbottito grosso così. Mai un momento di tranquillità, doveva correre anche alla scuola di Colle Palme.
Ero la maestra a righe
Nel ’79-’80 il trasferimento a Cave. Per due cicli, dal 1988 alla scuola Gianni Rodari ho iniziato la sperimentazione con il tempo pieno e le tre insegnanti. Io ero la maestra a righe.

(scatti di Elena Pucci)

del Progetto ceramica
Chiedevo e offrivo collaborazione. Con la maestra Emanuela Proietti allestivo il Teatro delle ombre, insegnavo a danzare e il canto. Ancora oggi incontro miei ex alunni che ricordano:- Lo sa che lei mi ha insegnato a cantare? E pensare che ero stonata!

Tutte le nostre attività non si sarebbero potute realizzare senza il sostegno e la preziosa collaborazione della Direttrice Mosetti e del Direttore Gobbi. In seguito entrambi si trasferirono, lei in Eritrea lui a Frascati, ma lasciando in eredità momenti davvero memorabili.

Con un balletto a “Pane e marmellata”
Nel penultimo ciclo abbiamo accompagnato una classe terza e un’altra classe alla trasmissione “Pane e marmellata” con Fabrizio Frizzi e Rita dalla Chiesa, alla Rai in via Teulada. Si sono complimentati, soprattutto Fabrizio Frizzi era molto entusiasta della coreografia e del nostro balletto sul motivo di Noi Ragazzi di oggi cantata da Luis Miguel.

Lo sposalizio di ‘Ndogna
Un successo anche la rappresentazione teatrale recitata in cavisello per rievocare la tradizione, con la vestizione della sposa, la dote, le vicine con le canestre di dolci in testa e le ciocie. La scena era accompagnata dal suono registrato delle campane di Castel San Pietro a festa e dal ritmo di tamburelli e canti di stornelli caviselli genuini:- Cave è fatta a fero de cavallo, ‘a mjo gioventù sta pe’ o Rapello…

Progetto ceramica e progetto giardino per acquistare alberi
A Trastevere abbiamo visitato l’orto botanico. Bambine e bambini hanno conosciuto le caratteristiche di piante, foglie, fiori, la varietà dei colori, le fragranze dei profumi. Come un gioco, si sono appassionati alla cura della natura. Nell’ambito del Progetto ceramica hanno modellato manufatti, venduti per acquistare alberi da piantumare, ciotole di terracotta per fiori e piante grasse.





Per ampliare l’esperienza di ognuno, ho sempre cercato di favorire l’acquisizione di varie tecniche .




Lavoro gratificante, ma anche qualche spavento
Una vera soddisfazione lavorare con bambini e bambine. Ascoltavano, non serviva alzare la voce. Le femminucce pettegoline, ma non irrequiete. Certo, scolari vivaci ce n’erano, anche un po’ turbolenti. Non si potevano perdere d’occhio. Mi sono presa proprio un grande spavento con Emilio. Durante la ricreazione giocando ha battuto la testa. Si è fatto pallido pallido. Spaventatissima e preoccupata ho chiamato subito la mamma.
-Signora maestra, non si preoccupi ma sa quante volte è capitato!
Mi sono sentita subito risollevata. Ecco, un tempo le mamme reagivano così.
Il mio slogan
Ricordo alla fine dell’anno alcuni mi chiedevano:- Maestra dove vai in vacanza? E io rispondevo seria: – A Colle Palmas de Majorca, che poi era la mia casa in campagna a Colle Palme. I più ingenui ci credevano.
Molti hanno piacere a salutarmi, se mi vedono chiamano a voce alta:- Maestraaa!
E io :-Zitto! Faccio anche segno col dito ssssst. Ogni volta mi imbarazzo, quasi mi vergogno.
Ho pensato di coniare un mio slogan, lo ripeto spesso così ho la battuta pronta per uscire dall’impaccio: Sono la tua vecchia maestra, ormai più vecchia che maestra!
Un lavoro gratificante
Forse perché non avrò insegnato tante nozioni, ma curato la relazione e il rapporto tra compagni quello sì. Un’educazione basata sull’affetto riesce a tirar fuori le capacità e aiuta a cavarsela. A tutti ho voluto bene. Molti si sono realizzati. A volte mi chiedo se a qualche scolaro o scolara io non sia andata a genio. Mi spiacerebbe non essere arrivata dove alcuni ne avessero avuto bisogno.
Credo sia una professione gratificante quella della maestra. Ho lasciato la scuola nel 1998. Un po’ di nostalgia ce l’ho. Per me ha rappresentato una salvezza. I miei pensieri li lasciavo ogni mattina sul comodino. Ho provato sempre entusiasmo e trasporto per il mio lavoro. Non sarei mai riuscita a rimanere seduta dietro una scrivania.